Il Tesoriere generale è una figura molto antica dell'amministrazione pontificia. Nel di Martino V (ASR, Camerale I, reg. 1711) figurano ben tre tesorieri generali: il primo ancora in carica dal pontificato di Giovanni XXIII, un altro eletto da Martino V in itinere da Costanza a Roma, il terzo con compito di luogotenenza. Il primo rimase in carica come titolare, gli altri due come luogotenenti.
Inizialmente alle strette dipendenze del camerlengo, il tesoriere generale ha il compito di coadiuvarlo nella gestione della finanza camerale. Controlla infatti per conto del camerlengo le entrate e dispone, su suo ordine, le spese. Di volta in volta acquista o perde autonomia rispetto al camerlengo a seconda del prestigio e del favore di cui gode personalmente il titolare della carica dinanzi al pontefice.
Nel 1590 Sisto V, nel conferire a Bartolomeo Cesi l'ufficio di tesoriere generale e di collettore generale degli spogli, gli conferisce, confermando anche provvedimenti di pontefici precedenti, amplissimi poteri nell'ambito delle riscossioni di entrate camerali (prevalentemente spogli ed entrate beneficiali); gli attribuisce il diritto di intervenire in tutte le Congregazioni di interesse camerale e di conferire direttamente con il papa su tutti gli appalti di beni e rendite camerali; lo investe del potere di costringere i gestori di denaro camerale - tesorieri provinciali, depositari, appaltatori di gabelle, affittuari di beni - a rendere i conti in Camera; sottopone alla sua giurisdizione i titoli di debito pubblico (Monti camerali), la gestione degli introiti e della costruzione della nuova città di Terracina, l'amministrazione del lotto. Contestualmente gli conferisce la potestà di amministrare la giustizia nelle suddette materie e di emanare editti (bolla «In conferendis precipuis» del 23 gennaio 1590). Se nel 1621 Gregorio XV restituisce un'ampia potestà su tali materie al camerlengo, esortando i chierici di Camera ed il tesoriere all'obbedienza, Innocenzo XII richiama con i chirografi del 7 dicembre 1695 e del 19 giugno 1700 le disposizioni dei predecessori - e in particolare di Sisto V - sulle prerogative del tesoriere generale e ne estende la competenza esclusiva alle «gabelle diritti appalti o affitti camerali, tasse e imposizioni ove in qualsivoglia modo si tratti di interessa camerale», con facoltà di emanare editti e di procedere giudizialmente. Nel 1731 Clemente XII (chirografo del 12 settembre) attribuisce al tesoriere la competenza giudiziaria e normativa sulle dogane generali di Roma, da poco riunite in una «Amministrazione e azienda economica commessa a Girolamo Belloni». Più volte nel corso dei secoli XVII e XVIII i tesoriere generale cumulò anche le cariche di «commissario del mare» e «castellano di Castel S. Angelo».
Benedetto XIV, su richiesta del camerlengo, fissa quindi lo spartiacque tra le competenze delle due magistrature camerali, confermando al tesoriere generale i poteri fin qui elencati e una generale competenza «nell'economico della nostra Camera» e conservando al camerlengo competenza esclusiva in materia di poste, nomina di consoli pontifici, infeudazione e concessione di beni giurisdizionali, mercati e fiere (chirografo del marzo 1742).
Nella costituzione del 18 marzo 1746 con cui Benedetto XIV riforma la computisteria generale e detta norme circa appalti, rendicontazione, controllo contabile, il tesoriere generale si delinea definitivamente come il responsabile di tutta la gestione finanziaria che fa capo alla Camera apostolica: sono infatti escluse dalla sua competenza solo le entrate della Dataria e della Segreteria dei memoriali. Si pongono in tal modo le premesse per la successiva evoluzione che porrà nel sec. XIX il tesoriere a capo del dicastero che si occupa di tutte le rendite e beni dello Stato, Tesorierato generale prima e Ministero delle finanze dal 1848.*