La sua origine è antichissima; la sua giurisdizione, in un primo tempo relativa solo alle cause ecclesiastiche, si estendeva a tutta la cattolicità. Nel sec. XV furono sottratte al Tribunale le cause criminali, quelle fiscali e quelle concernenti gli uditori rotali e le loro famiglie. Con la costituzione Universi agri dominici del 1° marzo 1612 Paolo V estese la sfera d'azione di questa magistratura a tutte le cause beneficiali e matrimoniali e ai processi di beatificazione e di canonizzazione. Col sorgere delle varie congregazioni romane, alle quali furono affidati poteri amministrativi e giudiziari, il Tribunale della Rota subì molti depauperamenti alla sua giurisdizione che si restrinse al solo Stato pontificio. Il Tribunale fu soppresso con ordine della Consulta straordinaria per gli Stati romani del 17 giugno 1809 [1].
Il tribunale venne ripristinato il 30 ottobre 1814; con motuproprio 6 luglio 1816 vennero riconfermate le sue prerogative. Con motuproprio 5 ottobre 1824 il Tribunale della Rota insieme con quello di Bologna divenne uno dei due Tribunali d'appello dello Stato pontificio. Il «regolamento legislativo e giudiziario per gli affari civili» del 10 novembre 1834 [1] stabilì che la Rota diveniva Tribunale ordinario d'appello per tutte le cause civili ed ecclesiastiche di Roma e dello Stato pontificio; perse la qualità di Tribunale supremo; ricoprì le funzioni di Tribunale delegato e straordinario per le cause conferitele dal pontefice, dalla segnatura di giustizia e dalle congregazioni romane. Il Tribunale si componeva di dodici uditori (il numero, che rimase invariato nel tempo era stato stabilito con la costituzione Romani pontificis del 14 maggio 1472). L'uditore ai quale veniva affidata la causa si chiamava «ponente»; il ponente, che non aveva diritto di voto, dopo la votazione eseguita da quattro uditori posti alla sua sinistra, aveva il compito di stendere la risoluzione o decisione.