Il breve "Dominus ac Redemptor" del 21 luglio 1773 decretò la soppressione della Compagnia di Gesù. Primo sintomo dell'imminente soppressione fu la chiusura del Seminario romano (11 settembre 1772). Il Seminario era stato sottoposto a visita in seguito all'accusa di negligente amministrazione. Fu decisa l'ispezione della contabilità affidata ad un certo Smuraglia, che trovò un ammanco di 300.000 scudi. Su ricorso dei Gesuiti furono deputati altri periti che trovarono invece un debito di circa 30.000 scudi. In base a tali risultanze il Seminario romano venne chiuso e la Reverenda fabbrica di S. Pietro ne prese possesso. Subito le visite si moltiplicarono.
Probabilmente Clemente XIV sperava che questi provvedimenti servissero ad ammorbidire le richieste di soppressione delle corti borboniche. Così non fu e il 7 giugno 1773 dovette giungere alla firma del breve di soppressione, rielaborazione di un precedente progetto di bolla inviato ai sovrani europei ed atto finale del processo iniziatosi con la cacciata dei Gesuiti dal Portogallo nel 1759. Il breve venne datato 21 luglio e doveva avere efficacia dal 16 agosto. Il 6 agosto fu riunita la Congregazione per gli affari gesuitici, già istituita col breve "De rebus gesuitarum agendis". In essa Clemente XIV impartiva istruzioni per l'applicazione del breve di soppressione. Decise inoltre di costituirla come Congregazione particolare deputata per la soppressione della Compagnia di Gesù nelle persone dei componenti la precedente Congregazione, e cioè: i cardinali Corsini, Marefoschi, Carafa, de Zelada, Casali, i prelati Macedonio e Alfani, cui sarebbero stati aggiunti in qualità di consulenti due regolari "in Sacra Theologia praeclari". L'erezione della Congregazione per l'applicazione del breve trovò formale sanzione nel successivo breve "Gravissimis ex causis nuper" del 13 agosto.
Nel frattempo, il 9 e il 12 agosto, si erano tenute altre due sedute della Congregazione e un'altra se ne tenne il 16 agosto. Esaminando sommariamente i due brevi si nota che il "Dominus ac Redemptor" contiene soprattutto disposizioni di carattere religioso e riguardanti la posizione dei singoli individui ex gesuiti. Inoltre, nel sopprimere la Compagnia, esso dichiara la chiusura di tutte le sue case e l'abolizione dei suoi privilegi e statuti.
Sancisce altresì la cessazione di ogni giurisdizione e autorità del preposto generale, dei provinciali e degli altri "superiori" della Società; autorità e giurisdizione vengono trasferiti agli "ordinari dei luoghi". Il breve esclude poi gli ex gesuiti dall'insegnamento e dalla direzione di scuole. Il breve "Gravissimis ex causis nuper", oltre ad istituire la Congregazione, le attribuì praticamente assoluta giurisdizione su tutto ciò che concerneva la soppressione dei Gesuiti. In particolare le attribuì la facoltà di procedere in via economica, cioè rendendo conto al solo Pontefice contro chi detenesse beni della soppressa Compagnia. Le attribuì un ampio potere dispositivo e le concesse la facoltà di "togliere e dichiarare qualunque dubbio".
La Congregazione aveva inoltre giurisdizione privata rispetto ad ogni altro giudice. Venne vincolata al segreto sotto pena di scomunica. All'una di notte del 26 agosto monsignor Alfani, monsignor Macedonio e altri prelati, entrarono manu militari nelle case dei Gesuiti dando loro comunicazione del breve e intimando loro di non abbandonare le case stesse. Con lettera del 18 agosto veniva trasmesso il breve di soppressione ai vescovi, unito al breve "Gravissimis ex causis nuper", e veniva impartito l'ordine di intimarne l'esecuzione, agli individui gesuiti e di prendere possesso dei loro beni a nome della Santa Sede. Il 19 agosto il Pontefice indirizza un chirografo al tesoriere generale Guglielmo Pallotta notificandogli che la Congregazione ha deciso che egli debba provvedere a recuperare e amministrare i beni della soppressa Compagnia depositandone il denaro ricavato in conto a parte sul Sacro Monte a credito della Sede apostolica e della Congregazione, a libera disposizione del Tesoriere stesso, per erogarlo nel temporaneo mantenimento degli ex gesuiti, loro vestiario e altre spese. L'eventuale insufficienza del credito aperto sul Sacro Monte sarebbe stata ovviata con la successiva alienazione di beni già di pertinenza della Compagnia. Il 26 agosto la Congregazione emanava un editto, diffidando chiunque dal compiere atti di possesso, di amministrazione o percezione dei frutti dei beni dell'estinta Compagnia e intimando, altresì, di portare davanti alla Congregazione stessa le proprie ragioni.
La Congregazione aveva agito in via economica. Oltre ad altre disposizioni, deputò monsignor Alfani quale giudice privativo delle cause riguardanti il patrimonio ex gesuitico. D'altro canto, venne affermata la competenza di Monsignor Tesoriere "per tutto ciò che possa riguardare la sola amministrazione dei beni già spettanti alla Compagnia." Con lettera del 1° settembre 1773 la Congregazione affermava la necessità della speciale licenza della Santa Sede per la concessione di eventuali facoltà ai Gesuiti. Con breve 24 novembre 1773 il Collegio Romano, la chiesa di S. Ignazio, l'oratorio del Caravita, furono affidati alla direzione, custodia e cura dei sacerdoti secolari. Furono preposti a presiedere il Collegio Romano tre cardinali con le rispettive cariche di: prefetto dello spirituale (Colonna), prefetto degli studi (Zelada), prefetto dell'economico (Corsini). Il 10 dicembre 1773 un nuovo motu proprio emanava alcune disposizioni relative ai beni ex gesuitici e, in particolare, all'enfiteusi di detti beni. Il 18 dicembre ancora una lettera enciclica della Congregazione ai vescovi chiedeva di interrogare i rappresentanti locali ed indicare a quali opere pie sarebbe convenuto destinare le rendite dei beni ex gesuitici, una volta cessato l'onere del mantenimento degli ex gesuiti. Con chirografo dello stesso 18 dicembre e istrumento stipulato in conseguenza del notaio Mariotti, segretario della Congregazione, venivano concessi in enfiteusi i beni dell'Abbazia di Fiastra. Il ricavato del canone sarebbe stato "applicato" al mantenimento degli ex gesuiti e degli alunni del Collegio Romano.
Con motu proprio 14 luglio 1774 vennero stabilite le modalità di attuazione del precedente provvedimento e impartite la relative istruzioni al tesoriere generale. Questo gruppo di atti normativi sono quelli che, in linea di massima, hanno disciplinato la fase della costituzione dell'"Azienda". In tale fase la Congregazione opera come organo decisionale, sia per i problemi religiosi, sia per quelli politici, sia per quelli economici. D'altro canto il tesoriere si occupa della vera e propria amministrazione economica dei beni ex gesuitici, servendosi dell'organizzazione della Computisteria degli Spogli, che aggiunge la denominazione "... e del patrimonio ex gesuitico". L'organizzazione dell'Azienda comportava, ovviamente, un notevole fascio di problemi. In primo luogo l'esatta individuazione di beni ex gesuitici; in secondo luogo la loro acquisizione e la loro difesa da atti di turbativa; in terzo luogo la costituzione di una Amministrazione di tali beni con l'impianto della relativa contabilità. Inoltre occorreva provvedere al mantenimento degli ex gesuitici sia nazionali, sia espulsi da altri Stati, nonchè al pagamento degli assegni e pensioni stabiliti. Per provvedere a questa necessità erano stati aperti due conti a parte sul Sacro Monte.
Per quel che riguarda la contabilità, non venne impiantata una vera e propria contabilità centrale, ma vennero mantenute le contabilità delle cinque amministrazioni precedentemente esistenti, mentre venne riunita annualmente la documentazione riguardante una serie di amministrazioni non direttamente dipendenti dalle cinque principali. Per i motivi più diversi, forse anche per la speranza della transitorietà della situazione, si addivenne ad un regolare impianto della contabilità molto più tardi, e comunque non fu mai compilato un documento contabile riassuntivo delle contabilità delle varie amministrazioni. Occorse inoltre coordinare l'amministrazione di quelle case e collegi, che in seguito alle visite disposte prima della soppressione erano stati sottratti all'amministrazione dei Gesuiti. Fu infine necessario resistere alle pretese degli Stati esteri (ad esempio: Genova, Toscana, Parma) che pretendevano che il breve di soppressione si estendesse per quella parte che prevedeva l'"applicazione" dei beni dei collegi posseduti da Stati esteri entro gli Stati della Chiesa. Fu inoltre necessario garantire il regolare versamento da parte delle monarchie borboniche delle somme necessarie al sostentamento degli ex gesuiti espulsi dai rispettivi Stati.
Nel 1774 il cardinale Marefoschi, per disaccordi col cardinale Zelada, si dimise dalla Congregazione. Asceso al trono pontificio Pio VI, la Congregazione cessò di funzionare e, competente per ogni affare riguardante la soppressa Compagnia, divenne il Tesoriere che riferiva direttamente al Pontefice e che amministrava i beni attraverso la Computisteria degli Spogli. Il computista degli spogli e patrimonio ex gesuitico Geometti, nel 1782 impianta formalmente la contabilità dell'Azienda. Vengono impiantati cinque libri mastri, rispettivamente per le amministrazioni del Collegio Romano, della casa e chiesa di S. Andrea a Monte Cavallo, della Procura generale, della provincia romana, del Collegio di Tivoli. Nel 1783 i libri mastri vengono sottoposti a visura da parte del ministro della Computisteria Francesco Garofalo, che completa la sua opera e presenta la relativa relazione il 2 settembre 1783.
In essa commenta positivamente l'impianto effettuato dal Geometti, lamentando però l'assenza di una contabilità generale propriamente detta, nonché la mancata redazione di un mastro delle contabilità non dipendenti dalle cinque amministrazioni. Dalla relazione appare inoltre un'attività del Geometti relativa al patrimonio ex gesuitico di cui riferiva direttamente al Tesoriere. Correlativamente all'impianto dei libri mastri le contabilità, fino ad allora tenute a partire dal settembre (mese successivo alla soppressione) di ogni anno fino ad agosto del successivo, vengono portate a coincidere con l'anno solare.
Nel 1787 i beni del Collegio di Tivoli vengono venduti a Luigi Braschi, nipote del Papa. Cessa quindi la tenuta della contabilità per Tivoli e, infatti, gli incaricati della restituzione dei beni ai Gesuiti trovano nel 1814 i soli mastri delle prime quattro amministrazioni. L'amministrazione trova in questo momento la sua stabile organizzazione. Una violenta cesura si ha con la prima Repubblica Romana che ordina lo sgombero della Computisteria degli Spogli, nel quale, come attestano varie annotazioni, molto materiale andò perduto. L'Azienda e i suoi beni passano alle dipendenze del Ministero dell'Interno. Vengono effettuate diverse alienazioni a vario titolo. Con la prima Restaurazione, essendo rimasto mutilo lo Stato pontificio, l'Azienda si limitò alla sola percezione dei frutti dei beni siti nei territori rimasti al Pontefice e alla spesa corrente, mentre non vennero effettuate registrazioni sui mastri (anche questo è confermato dalle annotazioni degli incaricati della restituzione). D'altro canto anche l'organizzazione della Computisteria si restrinse (1). Nel 1807 l'organico della Computisteria degli Spogli e patrimonio ex gesuitico si compone di: un amministratore generale, un Procuratore del patrimonio ex gesuitico, un Capo computista, un Segretario, tre scritturali, cinque giovani, un novizio, uno scrittore, un esattore. Il 17 maggio 1809 lo Stato pontificio viene annesso alla Francia.
La Computisteria degli Spogli viene mantenuta (nell'ottobre 1809 scompare la figura del Procuratore per il patrimonio) fino al 22 ottobre 1810 quando la Consulta straordinaria degli Stati romani decretò la soppressione della cassa e dell'amministrazione degli Spogli e il trasferimento di essa alla Direzione dei Domini (Amministrazione del Registro e dei Domini) divisa nelle due diverse Direzioni generali del Dipartimento del Tevere e del Trasimeno. Anche l'amministrazione francese si limitò alla normale amministrazione, spese correnti e percezione dei frutti, senza effettuare scritture sui mastri. Nel 1810 gli archivi dell'Azienda vennero probabilmente trasferiti a Parigi con tutta la documentazione camerale. Furono restituiti nel 1817. Al momento della restaurazione l'Azienda venne ripristinata nelle sole province di prima recupera. Il 7 agosto 1814 Pio VII con la bolla "Sollicitudo omnium" decide la restaurazione della Compagnia di Gesù. Anche questo atto, come la soppressione, giunge alla fine di un lungo processo.
È opportuno, infatti, ricordare che il breve di soppressione non aveva trovato esecuzione nei territori prussiani e russi. Infatti, Federico II e Caterina di Russia rifiutarono la pubblicazione del breve, poiché nei territori cattolici a loro soggetti, in pratica quelli a loro pervenuti dalla spartizione della Polonia, si erano impegnati al mantenimento dello status quo per quanto concerneva la religione. Federico II rivolse ai Gesuiti l'invito a nominarsi un Vicario generale per i suoi stati, probabilmente con la segreta approvazione di Clemente XIV. In Russia l'ordine continuò la propria vita ed ebbe vari procuratori generali fino ad ottenere da Pio VII, con breve 7 marzo 1801, il riconoscimento formale della propria esistenza, dopo averlo più volte ottenuto oralmente. Con breve 30 luglio 1804 l'ordine veniva "esteso "alle due Sicilie e con la bolla "Sollicitudo omnium" "esteso" agli stati romani e agli altri stati cattolici. Con chirografo dello stesso 7 agosto Pio VII stabilì la restituzione alla restaurata Compagnia di Gesù, e per essa al sacerdote Luigi Pannizzoni, della chiesa del Gesù, della Casa Professa, di S. Andrea, della Casa di Probazione con tutti i loro annessi.
Il chirografo dette inoltre le disposizioni per la restituzione da parte del Tesoriere alla Procura generale e, per essa, al Pannizzoni. Il Collegio Romano fu restituito alla Compagnia il 17 maggio 1824. Negli anni successivi furono restituiti tutti gli altri beni rimasti di proprietà camerale.