La legge 3 giugno 1937 n. 847 soppresse le Congregazioni di carità per istituire in ogni Comune del Regno d'Italia l'Ente comunale (Eca) e a Roma l'Ente governatoriale di assistenza (Ega), che continuò l'opera di sostegno ai bisognosi offerta dalle Congregazioni di carità, delle quali acquisì anche l'intero patrimonio.
L'Eca era amministrato da un Comitato del quale era presidente a Roma il governatore e negli altri comuni il podestà. L'ente non disponeva di proprio personale, poiché il personale in servizio era formato dal segretario e dall'applicato del Comune che venivano distaccati per esercitare rispettivamente il ruolo di segretario e di impiegato.
Gli Enti comunali di assistenza si presentarono, fin dall'inizio, come soggetti morali dotati di carattere pubblico e autarchico, preoccupandosi di svolgere, per la verità con mezzi piuttosto modesti, un'opera di primo soccorso alle sofferenze dei soggetti indigenti e più poveri, mediante soprattutto interventi di carattere economico. L'obiettivo era quello di superare il piano della "beneficenza elemosiniera" nella direzione di un più moderno concetto dell'assistenza.
Nell'ambito del trasferimento in mani pubbliche dei compiti di assistenza, l'Ente si dotava di un proprio statuto e si poneva lo scopo di "assistere gli individui e le famiglie che si trovassero in condizioni di particolare necessità", doveva anche promuovere il coordinamento delle varie attività assistenziali esistenti nel Comune. L'Eca contribuiva all'assistenza di poveri invalidi presso ospedali, ricoveri, istituti assistenziali, orfanotrofi e simili, sosteneva con sussidi in denaro i patronati scolastici, concorreva in varie forme alle occorrenze dei disoccupati, con l'erogazione di sussidi, generi di conforto, sovvenzioni di denaro secondo lo stato di necessità. Compiti sussidiari erano curare gli interessi dei poveri, assumendone la rappresentanza legale davanti alle autorità amministrative e giudiziarie; promuovere i provvedimenti amministrativi e giudiziari di assistenza e di tutela degli orfani e dei minorenni abbandonati, dei ciechi e dei sordomuti indigenti; amministrare le istituzioni di assistenza e di beneficenza ad esso affidate, così come i lasciti e le donazioni.
Le funzioni dell'Eca erano, dunque, assai vaste e si esplicavano mediante l'erogazione di sussidi in denaro o in natura, come i pasti per i poveri e il ricovero notturno e di vari altri provvedimenti volti al soddisfacimento di bisogni immediati, come il soccorso invernale agli indigenti. L'individuazione dei bisognosi avveniva mediante la formazione di elenchi variabili su istanza dei richiedenti, verificati periodicamente su esame del comitato dell'Eca e straordinariamente in occasione delle festività o in casi d'urgenza e di necessità.
Dopo la Seconda guerra mondiale l'associazione nazionale che riuniva gli Enti di assistenza, l'Anea, lanciò varie proposte per una profonda riforma non solo degli Eca, ma dell'assistenza in generale, proponendone una modernizzazione nel segno di una forte e reale discontinuità col passato. Le riforme auspicate dall'Anea rimasero però sulla carta e gli Eca continuarono a operare con scarsi mezzi e poca considerazione da parte delle autorità centrali, le quali preferivano finanziare le attività assistenziali di ministeri, enti parastatali e istituzioni private, mancando un'organica azione regolatrice del settore e con continui gettiti di nuove disposizioni che non facevano altro che generare una confusionaria sovrapposizione legislativa in materia.
Il finanziamento pubblico degli Eca faceva di questi ultimi dei centri di potere e, in quanto tali, soggetti a degenerazioni e abusi di vario genere. Non infrequenti si rivelavano così i casi di gestione commissariale degli Enti comunali di assistenza spesso dovuti a irregolarità di natura amministrativa e/o contabile.
Nonostante le insufficienze di carattere legislativo, unitamente a quelle relative alle prestazioni assistenziali (in molte città, Roma compresa, i servizi offerti ai poveri e ai senzatetto erano spesso di qualità piuttosto scadente), esistevano realtà dove si sperimentavano forme coraggiose e innovative di assistenza ai soggetti più indigenti.
Il principale limite degli Eca era tuttavia di natura finanziaria. Per far fronte ai molteplici e sempre più gravi bisogni, spesso gli Eca dovevano ricorrere ad aiuti privati, nonché all'incremento dei canoni d'affitto dei poderi e delle case di proprietà degli Eca stessi e/o all'alienazione di parte del proprio patrimonio immobiliare. Il congresso nazionale degli Eca, tenutosi a Milano dal 9 al 12 novembre 1957, nonché il successivo consiglio di Roma dell'estate del 1958, testimoniarono un quadro drammatico della situazione economica, che era peggiorata nel corso degli anni Cinquanta. Le diverse formazioni politiche cominciarono ad avvertire l'esigenza di una radicale riforma e promossero alcune importanti iniziative di carattere legislativo. Agli inizi degli anni Sessanta si diffuse, infatti, progressivamente l'esigenza di una riforma del settore assistenziale nel suo complesso e quindi anche degli Eca, per i quali si prevedeva anche una più larga autonomia e libertà d'azione, al fine di un migliore funzionamento. La crisi dell'Eca di Roma raggiunse il livello di maggior drammaticità nel novembre 1966, quando fu costretto a sospendere alcune forme di assistenza.
Ai sensi dell'art. 25 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, "Trasferimento e deleghe di funzioni amministrative ai comuni", e della l.r. 9 marzo 1978, n. 23 gli Enti comunali di assistenza vennero soppressi e le loro funzioni, competenze, personale e beni furono trasferiti al Comune in cui l'ente stesso aveva sede.*