- [Consorzio umbro laziale per l'incremento e la tutela della pesca] (1931 - 1970)
Il 1 giugno 1931 venne istituito a Roma il Consorzio umbro laziale per l'incremento e la tutela della pesca nelle acque interne, con decreto del Ministero dell'agricoltura e foreste. Esso trovò la sua origine in preesistenti forme di organizzazione privata di natura associativa, operanti nel settore della pesca, che nel 1928, con la legge n.2884, furono disciplinate e trasformate in "consorzi per la tutela della pesca".
Il consorzio una volta attratto nella sfera pubblica, acquistò personalità giuridica, fu ammesso al gratuito patrocinio e sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'agricoltura e delle foreste. In concomitanza degli eventi bellici, però, l'ente fu vigilato dal Commissariato generale per la pesca, istituito il 31 dicembre 1939 alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri. Roma era la sede del Consorzio, prima in via Valadier, poi in via XXIV Maggio, quindi in piazza della Minerva, infine in viale Asia presso il Ministero della marina mercantile. Nel periodo in cui fu vigilato dal predetto Commissariato invece, gli uffici erano in via della Concilazione e successivamente in via Monte Tomatico (Montescaro). Gli scopi che si proponeva erano finalizzati a promuovere la tutela e l'incremento del patrimonio ittico nelle acque interne, sia pubbliche che private, la prima realizzata attraverso il servizio di vigilanza, il secondo principalmente attraverso opere di ripopolamento ittico. La tutela era esercitata da agenti guardiapesca del servizio citato, nominati con decreto del prefetto e riconosciuti agenti di polizia giudiziaria. Il loro addestramento avveniva attraverso corsi di formazione e di specializzazione. Essi, invitati dal direttore, effettuavano sopralluoghi e svolgevano accertamenti lungo i bacini e presso le industrie, operanti nelle province vigilate dal Consorzio. In particolare presso gli stabilimenti, accertavano che lo scarico dei rifiuti fosse effettuato conformemente a quanto indicato nel decreto di autorizzazione, onde impedire l'inquinamento delle acque e il danneggiamento della fauna. Redigevano, quindi, il rapporto di servizio e, nel caso d'infrazioni, il relativo verbale di contravvenzione. Sia gli elenchi delle contravvenzioni, accompagnati da una copia dei verbali, sia gli elenchi degli stabilimenti visitati e di quelli contravvenzionati, venivano inviati al Ministero dell'agricoltura e foreste per il rilascio dei premi dgli agenti. Una copia del verbale, per i reati che prevedevano il pagamento di ammende e di pene pecuniarie e la denuncia all'autorità giudiziaria, era inviata alla Pretura e all'Intendenza di finanza (Ufficio del registro). Ciò prima del passaggio delle competenze alle Regioni. Prima della sentenza definitiva il contravventore poteva anche richiedere la conciliazione della contravvenzione in via amministrativa. Inviava, quindi, alla competente Prefettura la domanda di oblazione, che veniva trasmessa al Consorzio. Questo - svolte le opportune indagini nel casellario circa i precedenti dell'interessato - esprimeva il proprio parere; sulla base di questo la Prefettura emanava il relativo decreto. Presso ogni Prefettura, la divisione competente era la terza.
Al Consorzio veniva trasmessa una copia dei verbali di contravvenzioni, elevate dal servizio di vigilanza - delle amministrazioni provinciali - delle sezioni provinciali della Federazione italiana pesca sportiva, dell'ente nazionale protezione animali e della "associazioni pescatori" - dei comandi delle stazioni forestali e delle stazioni dei carabinieri. Le infrazioni più frequenti alle leggi sulla pesca riguardavano: l'esercizio della pesca senza licenza o in epoca di divieto - l'esercizio della pesca - l'esercizio della pesca, senza il permesso del proprietario o del concessionario, in acque di proprietà privata o concesse a scopo di piscicoltura - la pesca o la vendita di pesce al di sotto della misura consentita - l'uso di attrezzature vietate. Nel caso dello smaltimento dei rifiuti, invece, gli stabilimenti non potevano procedere, senza la preventiva autorizzazione della Prefettura, sostituita dopo il d.p.r. 10 giugno 1955 n.987, dal presidente della Giunta provinciale. In particolare, i rifiuti dovevano essere analizzati dal laboratorio provinciale di igiene e profilassi; se l'esito era favorevole, come pure se favorevole era il parere della Commissione provinciale consultiva per la pesca nelle acque dolci, lo stabilimento poteva essere autorizzato. L'autorità competente poteva anche modificare le disposizioni contenute nei permessi già rilasciati ed obbligare, in casi speciali, chi fosse causa di inquinamenti, ad eseguire opere di ripopolamento ittico. L'altra finalità perseguita dal Consorzio, ovvero il potenziamento della pesca, era realizzata attraverso l'incremento del patrimonio ittico.
L'ente d'intesa con lo stabilimento ittiogenico di Roma, con le amministrazioni provinciali e con la Federazione italiana pesca sportiva, svolgea campagne ittiogeniche, secondo programmi di semine, finalizzate al ripopolamento delle acque. Le semine potevano essere effettuate non solo per conto del Consorzio, ma anche delle amministrazioni provinciali, della Federazione italiana pesca sportiva e di enti vari.
Il materiale ittico poteva essere fornito dall'incubatorio consortile di Bolsena, in funzione dal 1952, dallo stabilimento ittiogenico di Roma, da enti, da privati o da altri consorzi pesca; in quest'ultimo caso effettuando "operazioni di compensazione", ovvero permute di materiale ittico. Il Consorzio poteva anche promuovere indagini, studi, pubblicazioni, ricerche scientifiche, come ogni altra iniziativa finalizzata all'incremento del suddetto patrimonio. In tale senso, la legge n.290 del 21 marzo 1958 offrì un contributo notevole per il "miglioramento, incremento e potenziamento della pesca e della piscicoltura nelle acque interne", autorizzando una spesa straordinaria a favore di enti, cooperative e associazioni. Poteva altresì costituire associazioni più ampie e operare per conto di organismi, privati ed enti.
Presso la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Roma, il Consorzio aveva un proprio rappresentante, in qualità di esperto del settore. In particolare partecipava alla Commissione permanente per l'agricoltura, le foreste e l'economia montana e alla Commissione permanente per la navigazione marittima e fluviale.
Tali commissioni avevano funzioni di studio e di proposta circa le materie d'interesse economico locale ed erano composte da rappresentanti, per le materie di competenza delle commissioni, dei diversi settori economici, degli enti e degli uffici pubblici interessati.
Al suo interno il Consorzio era regolato da un proprio statuto, che doveva essere approvato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste. Gli organi che lo componevano erano; il presidente, l'ufficio di presidenza, la consulta e il revisore dei conti.
Il presidente, nominato dal ministro, era l'organo rappresentativo dell'ente. Egli convocava e presiedeva la consulta e l'ufficio di presidenza, attuava le deliberazioni adottate e sovrintendeva alla gestione consortile. Poteva delegare alcune delle sue funzioni ai componenti dell'ufficio di presidenza. In caso di assenza o altro impedimento, era sostituito dal componente dell'ufficio di presidenza nominato dal ministro, che assumeva la veste di vicepresidente. Per questioni urgenti, il presidente poteva esercitare i poteri dell'ufficio di presidenza, al quale doveva poi riferire nella convocazione della prima riunione. Egli era anche uno dei componenti della Commissione locale per la pesca fluviale e lacuale, diventata a seguito del decentramento delle funzioni statali, Commissione provinciale consultiva per la pesca nelle acque dolci, presieduta non più dal prefetto, ma dal presidente della Giunta provinciale. Negli anni '40 e fino al 30 ottobre 1952, presidente del Consorzio fu il principe don Francesco Chigi Della Rovere, morto il 2 luglio 1953 e sostituito dal comandante Giorgio Ricci.
Il secondo organo consortile, l'ufficio di presidenza, era composto dal presidente e da due membri, uno nominato dal ministro, l'altro dalla consulta. Alle riunioni assistevano anche il direttore e il revisore dei conti. L'ufficio di presidenza, "udita la relazione del presidente e sentito il parere del direttore" deliberava circa: l'approvazione dei bilanci preventivi, dei conti consuntivi e dello statuto del Consorzio; le domande di adesione di nuovi soci, come anche la loro espulsione; la definizione delle quote sociali; la promozione di accordi con altri organismi; il regolamento degli uffici e del personale; l'autorizzazione all'esercizio dell'azione giudiziaria; i programmi dell'intervento. Deliberava altresì ogni qualvolta lo richiedesse il presidente. Le delibere dell'ufficio di presidenza dovevano essere inviate al Ministero vigilante per essere approvate e se non erano annullate o contestate entro trenta giorni dal loro arrivo, diventavano esecutive.
Altro organo era la consulta, formata da: un ufficiale del corpo delle foreste, designato dal ministro dell'Agricoltura e foreste; un funzionario del Genio civile, eletto dal ministro dei Lavori pubblici, un rappresentante degli organi locali di ogni federazione nazionale degli industriali e dei lavoratori della pesca; un rappresentante delle cooperative di produzione e di lavoro; un rappresentante dei commercianti di prodotti ittici; un rappresentante di ogni associazione, a carattere nazionale, di pescatori dilettanti, designati dal prefetto della Provincia, in cui il Consorzio aveva la sua sede sociale; un rappresentante per ogni amministrazione provinciale nell'ambito delle regioni del Lazio e dell'Umbria; i membri dell'ufficio di presidenza.
Ad essa potevano partecipare, senza diritto di voto e su invito del presidente, persone particolarmente qualificate nel settore delle attività svolte dal Consorzio.
Le deliberazioni erano adottate a maggioranza dei suoi membri in prima convocazione e con la maggioranza dei presenti, in seconda convocazione.
Le competenze della consulta concernevano la nomina di un componente dell'ufficio di presidenza e la manifestazione di pareri su ogni argomento riguardante l'attività consortile, con l'obbligo di formulari nei seguenti casi: adozione di regolamenti, stipulazione di mutui, programmi d'intervento annuali, bilanci preventivi e conti consuntivi, adozione di atti relativi all'acquisto e all'alienazione di immobili, partecipazione del Consorzio ad associazioni, etc., eventuale radiazione per gravi motivi dei soci non di diritto.
L'ultimo organo era il revisore dei conti, nominato anch'esso dal ministro. Egli partecipava alle sedute degli organi consortili e presentava periodicamente la relazione al conto consuntivo e al bilancio.
Altra figura di grande rilevanza, anche se non nominata tra gli organi consortili, era quella del direttore, che svolgeva la sua attività anche fuori sede. Egli - nominato dall'ufficio di presidenza - interveniva, con voto consultivo e con funzioni anche di segretario, alle sedute degli organi collegiali e ne controfirmava i verbali. Controfirmava i contratti e gli atti che comportavano impegno di spesa. Partecipava alle riunioni delle Commissioni provinciali di pesca in acque dolci.
Tutti i servizi del Consorzio erano da lui diretti, sorvegliati e coordinati e del loro andamento doveva rispondere al presidente.
Suo compito era anche l'utilizzazione del personale nel modo più idoneo ed efficiente. Al pari del presidente, poteva nominare un proprio delegato presso le province.
I consorziati potevano riunirsi su convocazione del presidente in assemblee generali o locali.
Le entrate dell'ente erano costituite dalle quote sociali, dalle soprattasse previste per il rilascio delle licenze di pesca, dagli interessi del capitale, dagli eventuali diritti sui contrassegni, dai contributi delle Regioni, degli enti locali e del Ministero dell'agricoltura e foreste, dai corrispettivi delle prestazioni o dei servizi resi a terzi, da eventuali altre entrate.
Il bilancio di previsione e il conto consuntivo, una volta approvati dall'ufficio di presidenza e firmati dal presidente e dagli altri componenti il detto ufficio, dovevano essere inviati al Ministero vigilante per l'approvazione, al pari delle delibere dell'ufficio di presidenza. I mandati di pagamento dovevano essere firmati dal presidente o da un altro membro dell'ufficio di presidenza, a ciò delegato, e controfirmati dal direttore e dal ragioniere.
A Perugia funzionava una delegazione autonoma del Consorzio, che esercitava la sua giurisdizione sul territorio dell'Umbria. Era presieduta dal presidente del Consorzio o da un suo delegato, coadiuvato da un ufficio di presidenza. Poteva nominare un segretario, che operava sotto il controllo del direttore. Presso la delegazione era istituita una consulta, formata da un rappresentante di ogni sezione locale delle associazioni nazionali dei pescatori di mestiere e dilettanti e dai rappresentanti delle amministrazioni di Perugia e di terni. La consulta predisponeva ogni intervento in accordo con i programmi del Consorzio e poteva essere convocata sia dal presidente della delegazione, sia d'ufficio dal presidente dell'ente. Una copia dei suoi verbali, firmati dal presidente e dal segretario, doveva essere inviata dal presidente del Consorzio. A quest'ultimo dovevano pervenire altresì, per il visto da parte dell'ufficio di presidenza, le deliberazioni adottate dalla delegazione e i bilanci della stessa. Questi dovevano anche essere sottoposti al parere della consulta consortile. Tale documentazione, unitamente alle delibere e ai bilanci del Consorzio, veniva trasmessa al Ministero vigilante.
In ogni provincia o località di maggiore importanza dal punto di vista dell'attività consortile, potevano essere costituite dalle sezioni operanti per il Lazio, sotto la diretta vigilanza del Consorzio e per l'Umbria, sotto la vigilanza della delegazione di Perugia.
Dopo il decentramento delle funzioni e il loro trasferimento alle regioni, non più in ogni provincia ma in ogni capoluogo di regione, potevano costituirsi delegazioni o sezioni del Consorzio, secondo le modalità impartite dall'ufficio di presidenza.
Il personale consortile era formato da dipendenti di ruolo, il cui regolamento organico, adottato dall'ufficio di presidenza, prevedeva per motivi eccezionali e temporanei l'assunzione di personale anche non di ruolo.